Il messaggio di Taranto: coniugare salute, lavoro e ambiente per un’economia governata dalla mano pubblica
L’assemblea operaia del 28 novembre a Taranto, convocata alla vigilia dello sciopero e della manifestazione nazionale a sostegno della chiusura delle produzioni inquinanti dell’ex Ilva e per dare un futuro alla città, ha rappresentato un passaggio decisivo e nuovo nell’iniziativa dell’USB.
Una discussione vera, serrata, condotta dai protagonisti delle lotte nei maggiori insediamenti industriali del Paese o nelle aziende in crisi, prima fra tutte Alitalia. Una discussione che non si è limitata a raccontare tutti i passaggi di come il capitale aggredisce la condizione operaia e del lavoro ma che ha deciso di mettere in campo un’iniziativa politica e sindacale più alta.
Prendendo le mosse da quanto sta accadendo a Taranto a causa di anni e anni di sfruttamento e di rapina del territorio e dell’ambiente, che hanno ridotto la fabbrica ad un rottame pericoloso e la città ad una discarica in cui i veleni dell’acciaieria stanno ormai producendo malattie e morte, l’assemblea ha chiaramente indicato che lavoro, salute e ambiente devono essere per la USB un unico e centrale obbiettivo di lotta. Coniugare questi tre fondamentali elementi non è mai stato, per il movimento operaio che conosciamo, un obbiettivo principale. Anzi spesso la contrapposizione tra lavoro e ambiente è stata piegata a favore del lavoro. In nome della salvaguardia dei posti di lavoro si è accettato che i territori subissero le peggiori aggressioni e gli abitanti dei territori circostanti drammatiche conseguenze sulla propria salute. La contraddizione capitale-lavoro ha fatto premio sulla contraddizione capitale-natura senza permettere che invece la battaglia contro la fame di profitti che produce sfruttamento ma anche aggressione all’ambiente e pericolo per la salute degli operai e dei cittadini diventasse unitaria e producesse conflitti consapevoli e capaci di unificare le lotte operaie con quelle dei cittadini e dei territori.
Il coraggio degli operai dell’ex ILVA di entrare in lotta per mettere in discussione quel ciclo produttivo che produce il loro salario ma che contemporaneamente uccide ha fatto la differenza, ha indicato una strada, ha avviato una riflessione su come si può alimentare la consapevolezza e la coscienza di classe in uno dei luoghi più difficili del nostro meridione affamato di lavoro, costi quel che costi. Ma la riflessione si è arricchita anche della consapevolezza che la condizione di moltissime aziende, quelle oggetto degli oltre centosessanta tavoli di crisi al Ministero dello Sviluppo (sic!) Economico, non può essere affrontata continuando nel solco di quel capitalismo assistito che è un po’ la storia del capitalismo italiano fatto di interventi pubblici a sostegno di aziende e multinazionali che sfruttano fino all’osso ogni piega del nostro ordinamento di sostegno al lavoro per poi fuggire portandosi via profitti, professionalità e sogni di futuro.
Serve, ha detto l’assemblea operaia di Taranto, che il nostro Paese torni ad avere una propria politica industriale, serve che si programmi lo sviluppo, che si scacci ogni tendenza ad accettare il ricatto europeo insito nella divisione internazionale del lavoro che ci assegna il ruolo di piattaforma di servizi o di Paese dei balocchi a vocazione turistica. Una riflessione, in ordine alla necessità che l’Italia torni a dotarsi degli strumenti necessari ed utili a che la mano pubblica, la politica, ritrovi il ruolo e gli strumenti di governo dell’economia, che era già al centro della nostra riflessione collettiva e che l’appello degli operai dell’ex Ilva e gli interventi nell’assemblea operaia e gli slogan del bel corteo del 29 hanno reso fatto concreto e indicazione generale.
Unione Sindacale di Base