Ferrosud: una storia infinita
Questa storia inizia con "c’era una volta" ma, ahinoi!, non finisce con "e vissero tutti felici e contenti"…
Cercheremo in poche righe di ricostruire la storia di un pezzo importante dell’industria meridionale che, oggi, vive l’ennesimo momento di crisi, naturalmente scaricato sui lavoratori. Cercheremo, per quel poco che possiamo fare, di dare anche un’idea di uscita dalla crisi perché crediamo che la Ferrosud può ritornare ad essere una impresa vera e forte e dare certezze e stabilità alle sue maestranze.
CORREVANO GLI ANNI ’60 (1963-1968)
La Ferrosud venne costituita nel 1963 nell'ambito di un programma di interventi finanziati per sviluppo industriale del Mezzogiorno e dell'occupazione nelle aree depresse della Basilicata e della Puglia, utilizzando le risorse pubbliche messe a disposizione dalla Cassa del Mezzogiorno. La zona scelta fu quella di Jesce, nel territorio di Santeramo in Colle al confine con Altamura e Matera, che abbracciava la Puglia e la Basilicata. Nel 1968 iniziano le attività produttiva. L’azienda occupa in quel periodo quasi 1000 lavoratori, producendo costruzioni meccaniche nel settore ferroviario e di ristrutturazioni rotabili per le allora F.S. In quegli anni furono pure costruite le linee ferroviarie dirette con le Ferrovie dello Stato.
CORREVANO GLI ANNI ’70 E ‘80
In vent’anni l’azienda, pur mantenendo il capitale in mano pubblica, vede la partecipazione di altro colossi industriali italiani passando, a compartecipazione paritetica, nelle mani del Gruppo EFIM e della FIAT (allora ancora direttamente impegnata nel settore ferroviario). Nel 1986 passa sotto il controllo al 100% della Breda ferroviaria, sempre del Gruppo EFIM.
CORREVANO GLI ANNI ’90 E 2000
Nel 1992 la Ferrosud fu incorporata dalla Breda Costruzioni Ferroviarie cambiando la propria denominazione in "Breda Costruzioni Ferroviarie – Stabilimento FERROSUD" e, qualche anno dopo, a seguito della fusione tra Breda Costruzioni Ferroviarie e Ansaldo Trasporti, assunse la denominazione di "AnsaldoBreda - Stabilimento FERROSUD". Ma questo non bastò per “salvare” il lavoro svolto e i posti di lavoro: nel 2002 fu nuovamente scorporata diventando una S.p.A. a controllo privato.
CORREVANO GLI ANNI 2010
Nel 2011, a Febbraio, dopo una serie di vicissitudini, crisi e tagli al personale, l’allora management della Ferrosud, vista l’impossibilità di proseguire l’attività aziendale, decide di presentare un “concordato” preventivo. Concordato che, per l’ennesima volta, scarica sui lavoratori le inadeguatezze della proprietà. Ancora oggi gran parte dei lavoratori è ancora in attesa di ricevere retribuzioni e quant’altro previsto in quel concordato. Si aprono “tavoli” presso la Regione Basilicata, il MiSE, il Ministero del Lavoro e chi più ne ha più ne metta, senza però trovare soluzioni reali e concrete.
NEL 2015/2016 ARRIVA IL NUOVO “SALVATORE” DELLA FERROSUD: IL GRUPPO MANCINI
In pompa magna si annunciano piani di rilancio, linee di apertura di credito e tanto altro facendo dichiarare, da parte delle OO.SS., chiusa la crisi aziendale. Ma nella realtà le commesse sono ridotte all’osso e la Ferrosud passa da azienda che costruisce carrozze e ne cura la manutenzione a sito di dismissioni delle carrozze. Ma questo non basta!
Nel 2019 la Ferrosud decide di riprovare la carta del “concordato” annunciando una crisi che era nei fatti iniziata già il primo giorno della avventura del Gruppo Mancini.
COSA CHIEDIAMO
Intanto l’USB ritiene, insieme ai lavoratori, che sia necessario che la politica faccia sentire la sua voce. Oggi il “gioco” della politica locale è quello di attendere le decisioni di altri, per capirci la magistratura, e al massimo discutere della Ferrosud solo per la parte dei cosiddetti ammortizzatori sociali. Per questo l’USB chiede che subito si attivi un “tavolo” al MiSE per discutere il reale rilancio aziendale che passa, a nostro avviso, attraverso un impegno concreto e reale della parte pubblica.
La Ferrosud non è un carrozzone che non produce nulla. La Ferrosud, nonostante la riduzione dell’organico e quindi del numero delle maestranze (oggi siamo a circa 80 lavoratori), conserva una conoscenza e capacità produttiva unica nel suo genere; è un’impresa, quindi, che necessita di una forte innovazione tecnologica che solo il pubblico può garantire e che permetterebbe di “salvare” i posti di lavoro attuali e di crearne altri. Qui è evidente che il primo pensiero va al Gruppo Ferrovie dello Stato ed a Rete Ferroviaria Italiana (RFI) che solo qualche anno fa si è impegnata sul territorio pugliese rilevando la “vecchia” Breda Fucine Meridionali (era il 2015, RFI si fece carico di in un investimento di 6,5 Mln di euro). Tant’è che il Gruppo FS al termine dell’acquisizione dichiarava: «la Società che si occupa della rete del trasporto ferroviario amplia la filiera produttiva interna, ottimizzando i costi di approvvigionamento e accrescendo le proprie conoscenze» e, ancora, che «in Europa nel settore della componentistica ferroviaria, i produttori specializzati sono un’esigua fetta del mercato. Ciò rende complicato l’approvvigionamento di materiali tecnici a prezzi vantaggiosi e in tempi definiti e certi rispetto alle esigenze. Inoltre Bfm è in concordato preventivo dal novembre 2014. Situazione che ha avuto ripercussioni sulla produzione industriale, a causa del parziale fermo dell’impianto, e ha determinato un aumento dei prezzi dei “cuori” fino al 25%. Questo ha indotto RFI a presentare un’offerta economica per rilevare Bfm. In questo modo Rete Ferroviaria Italiana potrà soddisfare l’intero fabbisogno con costi di produzione più bassi rispetto ai prezzi di acquisto».
Insomma, potremmo cambiare l’acronimo di Breda Fucine Meridionali, Bfm, con Ferrosud e avere lo stesso risultato. Un impegno pubblico che è già realtà a Taranto, all’ex ILVA oggi ArcelorMittal.
Per questo l’UNIONE SINDACALE DI BASE chiede un forte impegno che possa concretizzarsi con:
- una vera e profonda discussione con tutti gli attori coinvolti che riporti alla luce la vicenda Ferrosud che oramai sembra essere stata archiviata;
- l’apertura di un “tavolo” al MiSE che vada oltre il “concordato” e apra una strada nuova che non discuta solo di ammortizzatori sociali.