NATUZZI... Pubblichiamo un'interessante inchiesta di Tike.news

Bari -

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pubblicato su Tike.news

IL TRIANGOLO DEL SALOTTO ITALIANO?

NON C’E’ PIU’

Fantasmi. Progetti fantasma, lavoratori fantasma, aziende fantasma. I soldi, no: sono 238 milioni di euro, stanziati dal governo italiano e dalle regioni Puglia e Basilicata, dal 2013 a oggi, per salvare il distretto industriale del divano "Natuzzi spa" (o meglio, quel che ne è rimasto in Italia) e i suoi ex dipendenti (o meglio, gli esuberi). E di fronte alla "neolingua" delle carte, ricca di termini inglesi non necessari e illusori, ecco il tradizionale e nostalgico gazebo della protesta di chi non ha capito bene, ma forse ha intuito tutto.

 

"Lo Stato italiano non può dare soldi ad un'azienda che licenzia”, dicono gli ex operai durante l'ultima manifestazione organizzata ad Altamura, che con Matera e Santeramo formava il Triangolo del salotto italiano. “Questo – continuano gli operai – è un pessimo esempio anche per gli altri imprenditori". Sono circa in trecento, per la maggior parte di Santeramo in Colle e di Altamura, gli altri di Cassano delle Murge, Acquaviva delle Fonti, Gioia del Colle, Gravina in Puglia, Noci, Bari, Toritto, di Matera e Grassano e dei paesi tarantini di Ginosa, Palagiano, Massafra, Mottola e Castellaneta. I più sono in un'età "di mezzo", cioè ancora giovani per andare in pensione, ma non più così giovani per poter ricominciare altrove. Altrove? O nello stabilimento chiuso, vuoto, di Ginosa ("Se non è completamente deserto c'è qualche ferro vecchio"), oppure in aziende newco (new company) delle quali non si conoscono nemmeno i nomi. "Noi – raccontano -, e senza sapere perché proprio noi, siamo stati esiliati in un capannone, dismesso da tre anni, per decisioni dettate a Roma dalla Natuzzi e sottoscritte dal ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), dalle regioni Puglia e Basilicata, e ahinoi, proprio dai sindacati". Il prossimo ottobre, com'è scritto negli “accordi salva Natuzzi”, gli operai destinati a Ginosa non godranno più di alcun ammortizzatore sociale. Quali sono le possibilità, attualmente, per loro?

 

LA STORIA

Il 10 Ottobre 2013 viene firmato il primo accordo per salvare l'azienda dell'imprenditore santermano Pasquale Natuzzi, il quale, dopo aver coinvolto prima l'intera Murgia barese e poi la Cina, la Romania e il Brasile, nel business proficuo del mobile imbottito, già dal 2004 dichiara la crisi per gli stabilimenti in Italia e inizia a fare richiesta per gli ammortizzatori sociali. Nel 2013 si ritrova con più di duemila persone senza un'occupazione. Il MiSE e le regioni interessate stanziano, nell'Accordo di programma, duecento milioni di euro per aiutare l'azienda in un piano di reindustrializzazione che, già dagli inizi, non va bene per tutti i disoccupati: poco più della metà rimane nel gruppo Natuzzi, mentre gli altri vengono destinati a "nuove attività industriali collegate al settore del mobile imbottito" (quali?), a "iniziative di riqualificazione" e a una "mobilità volontaria e incentivata" (cioè, l'autolicenziamento). I criteri di scelta per chi rimane dentro e chi rimane fuori non vengono tuttora spiegati né dall'azienda né dai sindacati "complici" (così li definiscono i manifestanti). Non solo. L’accordo, oltre a non interessare tutti i lavoratori, non riguarda nemmeno tutti gli stabilimenti. Quello di Ginosa, per esempio, viene chiuso già dal mese successivo all'accordo. Il tempo passa. Il numero degli esuberi si riduce, seppure in minima parte, perché molti lavoratori, sfiancati dalle trattative, accettano i trentamila euro (che tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 diventano 40mila) proposti dall'azienda per autolicenziarsi. "Chi li ha accettati - dicono dal gazebo della protesta - è ancora disoccupato, a parte qualcuno che è riuscito a reinvestire tale somma e quindi a ricominciare". Il tempo passa. E la scadenza dettata per il piano salva Natuzzi si avvicina (ottobre 2016).

 

IL "PAZZESCO" 2015

A marzo arriva il "contratto di solidarietà" (che secondo gli ex dipendenti "solidale non è") per 1818 disoccupati. E a ottobre viene firmato un secondo accordo “salva crisi”, un addendum a quello del 2013. Infatti, ai duecento milioni di euro se ne aggiungono altri 38 (sempre stanziati dal MiSE e dalle regioni di Puglia e Basilicata). E cosa prevede quest’altro accordo? Il contratto di solidarietà avrebbe dovuto rispondere, detto in parole semplici, al principio "lavoriamo meno, lavoriamo tutti". Ma così non è stato, perché in più di 500 sono finiti in cassa integrazione a zero ore e destinati a una "collocazione - è scritto - in altre aziende che si insedieranno nel territorio" (già, ma quali, quando?). Anche in questo caso, non è stato spiegato né dall'azienda, né dai sindacati, né dagli altri soggetti che hanno preso parte alle trattative (come l'assessore della Regione Puglia, Loredana Capone) quali sono stati i criteri seguiti per la scelta dei lavoratori: in base a che cosa, insomma, si è deciso "chi sì e chi no". Il secondo accordo, invece, prevede 38 milioni di euro (che l'azienda Natuzzi sottoscrive di voler spendere per meno di metà in ricerca e sviluppo e per la restante parte in investimenti produttivi) per gli stabilimenti di Jesce 1 e La Martella di Matera, Jesce 2 di Santeramo e Laterza. Lo stabilimento di Ginosa, chiuso nel 2013, è tutt’ora chiuso. Cosa prevede il secondo accordo per i cinquecento esclusi? Dice che 100/120 di loro sono destinati a Ginosa, proprio nell'unico stabilimento chiuso e dismesso dal 2013 (ma a fare cosa?), 100 ad aziende newco (quali? ancora non si conoscono i nomi) e 280 ad un "licenziamento collettivo secondo il criterio della non opposizione" (la mobilità incentivata, cioè l’autolicenziamento: in pratica, accettare 40 mila euro e chiudere i rapporti con l'azienda).

 

LA PROTESTA dei trecento è stata esasperata proprio dagli ultimi accordi. "Innanzitutto – raccontano -, durante questi anni non siamo stati né interpellati né rappresentati nel corso delle trattative, perché il nostro sindacato non è stato invitato, a differenza di Cgil, Cisl e Uil, che sono complici di questo scempio". La bandiera rossa, che fatica a sventolare, accanto al gazebo in piazza Moro è dell'Usb, organizzazione nata da una costola della Cgil. Dicono gli operai: "La Cgil non è più un sindacato, ma un ente di servizi che si è preoccupato solo dei suoi tesserati, per il caso Natuzzi e non solo, e dei suoi oltre 15 mila dipendenti sparsi in tutta Italia". Gli operai chiedono, innanzitutto, chiarimenti sui criteri con i quali sono stati scelti. Cioè, come sono stati selezionati i lavoratori che sono rimasti nel gruppo Natuzzi e quelli che invece sono stati destinati in concreto, salvo colpi di scena entro ottobre, al licenziamento? "Ci hanno messo nella condizione - gridano - o di accettare i 40 mila euro, o di andare a lavorare in aziende che non esistono ancora, di cui non ci dicono i nomi. E come facciamo ad accettare queste condizioni?". Non si fidano. "Chi sono? Chi ci dice che queste aziende – continuano - dopo aver preso i soldi previsti per la nostra assunzione, non ci ributtino fuori?".

 

L'AZIENDA NATUZZI infatti, nel 2016 ha lanciato il piano Assist: cinquemila euro a lavoratore, più altri 12 mila (in tre anni) a contratto, per tutte le aziende disposte ad assumere i suoi ex operai. Oltre ai soldi, Natuzzi offre anche l'utilizzo degli stabilimenti dismessi. E ancora, la Regione Puglia, tramite l'assessore Loredana Capone, non ha smesso di sottolineare in questi anni che per le newco ci sarebbero anche altri incentivi regionali. Insomma, soldi, un sacco di soldi, dal 2013 a oggi, purché qualcuno si riprenda gli sventurati, che sia Natuzzi o che si tratti di fantasmi. Intanto, la situazione dei "trecento" (e più) non cambia e sulla Murgia non si vede ancora nessuna nuova impresa. Dove sono le aziende di cui hanno parlato, durante le riunioni al MiSE, i consulenti di Pasquale Natuzzi, quelle aziende definite “interessate” a investire al Sud, sulla Murgia? "E' inutile - dicono gli "esuberi"- che ci contattino per chiederci se siamo disposti ad andare altrove. Dove dovremmo andare?". "Deve riassumerci Pasquale Natuzzi – concludono - e poi sia lui a dire dove vuole mandarci". Finora, la Sofit Bpi Italia, incaricata dalla Natuzzi, sin dal principio, di elaborare piani di reindustrializzazione e di riassorbimento dei disoccupati - come affermato dal suo rappresentante al MiSE, Alberto Cacciani (il quale dopo gli Accordi del 2013, smette di rappresentare Pasquale Natuzzi e passa alla Sofit…) -, ha svolto soltanto colloqui individuali per chiedere ai lavoratori le solite cose (127 su 300 hanno acconsentito al trattamento dei dati personali) e per dire loro le solite cose. Ma ottobre 2016 si avvicina. Che fine faranno tutti questi soldi? E i "trecento"?